Conosco Sami da molti anni oramai e lo considero non solo un collaboratore, ma anche un caro amico. Ho persone care in Palestina, sia nella Striscia di Gaza che nella Cisgiordania occupata, e non è mai stato così complesso come dopo il 7 ottobre tenere a freno le emozioni. Da nove mesi il mondo ha subito numerosi cambiamenti e purtroppo molte persone hanno visto nella tragedia palestinese una vera opportunità per far fruttare i propri soldi e riempire così le proprie tasche. Credo che il dolore abbia reso il male, sotto tutte le sue forme, come quello rappresentato dall’ego, terreno fertile.
Ogni giorno io e Sami proviamo a metterci in contatto e la mia prima domanda è chiedergli se ha mangiato. Essere consapevoli che nel 2024, mentre guardi i tuoi bambini mangiare il gelato o assaporare le torte fatte in famiglia, spezza il cuore quando la tua mente torna alle immagini di persone denutrite e sfiancate dalla stanchezza psico-fisica.
Sami racconta dei continui volantini inviati dal cielo da settimane in cui si intima la popolazione di Khan Younis ad abbandonare la zona e dirigersi verso campi profughi più o meno distanti. Come lui racconta, la gente, oltre a essere devastata fisicamente, oramai ha compreso che la loro vita è alla stregua di topolini in gabbia. Non vi è un senso reale nella ricerca di una via sicura; dopo il 7 ottobre non vi sono vie sicure a Gaza. Questo modo di vivere le giornate è diventato semplicemente incomprensibile non solo per noi, ma soprattutto per i bambini, che continuano a scappare trascinati dai propri genitori da un lato all’altro della Striscia, sprecando così le poche forze rimaste.
Le rare volte che l’IDF decide di avvisare l’inizio del bombardamento, passano solo alcune decine di minuti. Questo comporta il dover abbandonare le risorse primarie, e chi è accompagnato da persone disabili, come ormai è di norma sulla Striscia di Gaza a causa delle numerose amputazioni dovute alle esplosioni, oppure da donne incinte o anziani, significa condannarli a morte certa. La tecnica di Israele di sfollare le persone è un modo per distruggere la loro speranza. Dopo essere stati obbligati a trasferirsi, i palestinesi cercano di ricreare una comunità, adattandosi al territorio, ricercando nuovamente pozzi d’acqua, cercando di ricreare bagni igienici con quel poco a loro disposizione, costruendo tutto ciò che è possibile riutilizzando i materiali di case distrutte. Poi, arrivano nuovamente le bombe, i volantini e le truppe via terra.
Sono passati nove mesi e la situazione è sempre più grave nel silenzio e nella complicità delle Nazioni Unite. I palestinesi di Gaza e Cisgiordania provano ogni giorno a dare vita alla speranza che dal 1948 la collusione dei governi occidentali ha provato a smorzare.
Il 14 luglio, alle 21:27 ora palestinese, Sami mi contatta per dire che sono stati obbligati nuovamente ad abbandonare una seconda casa. Di fretta e furia hanno recuperato i bambini e quelle poche cose che potrebbero servire per sopravvivere e, mentre correvano nella luce della sera, la casa (fotografia qui sotto pubblicata) è stata fatta esplodere. Si sono voltati ed hanno visto la scia del missile e la grande esplosione alle loro spalle. Mentre Sami mi racconta, sento le grida dei bambini terrorizzati.
Per fortuna questa volta però si sono salvati tutti in tempo, considerando che il tempo medio dall’informazione tramite telefono di chi è stato bombardato poco prima e la considerazione che sta per accadere anche nei villaggi limitrofi è pari a una manciata di minuti, che può variare dai 5 ai 10 minuti.
Come si nutre un abitante di Gaza dopo nove mesi di genocidio
Il racconto di Sami narra l’alimentazione di alcuni gruppi di sfollati scappati dopo la prima settimana di luglio dalla zona di Khan Younis. Dopo nove mesi di assedio, la comunità internazionale non è ancora stata in grado di obbligare Israele al rispetto del diritto internazionale e tanto meno di combattere la malnutrizione. In questi ultimi giorni, racconta che sono riusciti a condividere una zuppa cucinata con scatolette di lenticchie e del pane secco trovato anche in case abbandonate. Le verdure e la carne sono oramai introvabili, tranne che al mercato nero. Sì, dopo nove mesi, nonostante i bambini morti per malnutrizione, il cibo viene ancora venduto a prezzi assurdi e inarrivabili. Questo tipo di comportamento è attuato da alcuni palestinesi in accordo con occidentali che permettono loro, attraverso raccolte fondi, di acquisire cibo grazie ad accordi illegali dal Valico di Rafah.
Sami chiarisce che nutrire tutti è complesso, essendo il loro gruppo composto da circa 200 famiglie e comprendendo 300 bambini. Saranno loro, come sempre, a pagare il prezzo più alto, a causa soprattutto delle malattie infettive e della diarrea causata dalla mancanza di acqua potabile. Questo comporta la disidratazione e la conseguente morte. La popolazione ha cercato sino ad oggi di nutrirsi della speranza di un cessate il fuoco, ma anche quella speranza ha smesso di nutrirli oramai da settimane. Sami chiarisce che il suo gruppo di sfollati, negli ultimi tre mesi, ha ricevuto soltanto 1 pacco di farina, una scatola di legumi e una di datteri attraverso gli aiuti umanitari, mentre il mercato nero è sempre più proficuo. Così decide di elencarmi alcuni prezzi per comprendere quale sia realmente il danno che tutto questo sta apportando:
- 1 kg di ali di pollo: 40 shekel
- 1 kg di pomodori: 10 shekel
- 1 litro di gasolio diesel: circa 110 shekel
- 1 litro di benzina: 150 shekel
- Dopo il 7 ottobre, una bombola di gas da cucina costava 1.500 shekel, mentre oggi si aggira intorno ai 200/250 shekel (probabilmente perché trasportarla durante la fuga è complesso e molte persone non possono utilizzarla)
- Sardine pescate accanto alla costa: circa 100 shekel
- 1 sigaretta: 110 shekel
Ultimo resoconto di Sami datato 21 luglio 2024 racconta il dramma
Sami e alcuni uomini del suo gruppo si sono diretti verso il campo profughi di Nuseirat. Erano quasi a 100 metri dal raggiungere il camion che avrebbe distribuito bottiglie d’acqua quando l’IDF ha iniziato a bombardare proprio la zona in cui si trovavano le persone per poter acquisire i beni primari. Un palazzo di 10 piani è stato colpito, uccidendo numerose persone, tra cui molti bambini. All’alba di oggi, a 300 metri dal suo rifugio, hanno bombardato numerose famiglie di sfollati, uccidendo donne e bambini. Fino alle 19 di oggi, ora italiana, nessuno è riuscito a nutrirsi ancora. Questa è la vita di una persona oggi in Palestina, che ricorda la vita di chi si è visto massacrare dal 1948, di chi ha vissuto Piombo Fuso, di chi ha vissuto Margine Protettivo, o in Cisgiordania i massacri che hanno scandito la vita delle generazioni future, colorando di sangue le strade a causa anche degli attacchi via cielo recenti, soprattutto contro Jenin e Nablus.
- Il Ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che il bilancio delle vittime dell’aggressione dell’occupazione contro la Striscia di Gaza è salito a 38.983 martiri e 89.727 feriti, dal 7 ottobre 2023. Ha aggiunto che le forze di occupazione hanno commesso 4 massacri contro famiglie nella Striscia di Gaza, inclusi 64 martiri e 105 feriti, nelle ultime 24 ore.